Lavorare ovunque? Si può!
Molti Paesi che, prima della pandemia, vivevano di turismo ora stanno cercando di ripartire, provando ad attirare i cosiddetti “lavoratori della conoscenza” che possono trasferirsi sul territorio per periodi lunghi.
Con la pandemia il mercato del lavoro è cambiato ed è ormai assodato per alcune categorie di lavoratori che si possa scegliere la località da cui lavorare.
A Bali, in Indonesia, oggi è possibile lavorare a distanza grazie ad un visto di cinque anni che dura più a lungo di ogni altro visto per “nomadi digitali” attualmente esistente ed è particolarmente vantaggioso. In questo caso l’obiettivo del governo indonesiano è quello di attirare visitatori con una permanenza più lunga e una spesa duratura e più alta.
La Grecia ha anticipato questa tendenza, approvando nel 2021 una legge diretta a favorire l’ingresso nel Paese ai nomadi digitali. Anche Spagna e Portogallo si sono inserite in questo trend del lavoro da remoto per i non residenti e altri Paesi hanno scelto formule simili, tra questi: Australia, Repubblica Ceca, Emirati Arabi Uniti, Estonia, Germania, Tailandia, Indonesia, Spagna e Brasile.
I visti generalmente costano circa 1.000 dollari ed esentano i titolari dall’imposta sul reddito locale per il loro soggiorno, che dura solitamente da sei mesi a due anni. Richiedono, inoltre, che i titolari possano mantenersi da soli, senza accettare lavori locali.
In Italia, la legge 25 del 28 marzo scorso agevola l’ingresso dei cittadini di Paesi terzi che decidono di lavorare nel territorio nazionale per un determinato periodo, svolgendo la propria attività da remoto. Per entrare in Italia, questi lavoratori avranno bisogno del solo visto d’ingresso, della durata non superiore a un anno. Una volta richiesto il visto, avranno diritto a un permesso di soggiorno valido fino a un anno. Dovranno, infine, attivare un’assicurazione sanitaria e rispettare le disposizioni fiscali e contributive italiane.
Ne parla Alessandro Cappelli su Linkiesta.
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