Protezione del mare e pesca possono convivere.

L’istituzione di aree marine protette può coesistere con la necessità di preservare la pesca commerciale e sfamare la popolazione terrestre in crescita. Lo conferma uno studio pubblicato su Science Advances che ha valutato l’impatto del Parque Nacional Revillagigedo, la più grande area marina integralmente protetta del Nord America, inaugurata nel 2017. Questa distesa di 147.000 km quadrati di Oceano Pacifico a ovest del Messico è un vero scrigno di biodiversità. In quanto ospita un’enorme varietà di specie marine uniche al mondo.

Contrariamente alle preoccupazioni iniziali (una riduzione del 20% della pesca), la ricerca ha concluso che l’istituzione dell’area marina protetta non ha causato danni alla flotta ittica messicana. Attraverso l’analisi di dati satellitari, dati sul pescato e l’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale, gli scienziati hanno dimostrato che la pesca nella riserva è calata dell’82%, rispettando le norme imposte, mentre i pescatori non hanno dovuto ampliare la loro area di attività per mantenere lo stesso volume di catture. Ciò è dovuto da una parte al fatto che l’area marina protetta, per quanto estesa, rappresenta appena il 7% delle acque in cui pesca la flotta tonniera messicana e dall’altra, dato che va però accertato con ulteriori ricerche, dal rifiorire della vita acquatica anche nelle acque attorno al parco naturale, dove la pesca è ancora consentita.

Ricerche simili, come ad esempio quella condotta intorno al Papahānaumokuākea Monument, il più grande parco marino protetto al largo delle Hawaii, hanno evidenziato un aumento del 54% nella cattura di tonno pinna gialla.

Alla Conferenza Globale delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (COP15) del dicembre 2022 i Paesi hanno trovato un accordo sulla necessità di proteggere almeno il 30% degli oceani dalle attività umane entro il 2030. Attualmente, solo l’8% degli oceani è sotto una qualche forma di protezione, con solo il 3% protetto dalla pesca e da altre attività invasive.

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